Le origini criminali della dinastia Assad (Italian: Origins of the criminal Assad dynasty)

         
by Omar Hassan • Published 12 January 2017

Il compagno Omar Hassan è membro del comitato politico nazionale di SOCIALIST ALTERNATIVE –organizzazione marxista
rivoluzionari australiana – ed è attivo nella solidarietà palestinese e nel lavoro politico antifascista in particolare a Melbourne.
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Bashar, sei un bugiardo
Che l’inferno sia con te con le tue parole [sulle riforme
promesse] La libertà è molto vicina
E’ il momento di andartene, o Bashar…
Maher [fratello di Bashar] sei un codardo
e un agente degli americani
Il popolo siriano non sarà umiliato,
E’ il momento di andartene, o Bashar ”
– Yalla Irhal Ya Bashar (Time to go, Bashar) scritto da Ibrahim Qashoush, ucciso
brutalmente dalle mani del regime il 4 luglio 2011.
La rivoluzione siriana è stata una delle questioni più controverse dentro la sinistra
internazionale per un decennio. Il sostegno a simili sollevazioni in Tunisia, in Egitto e
altrove è stato quasi vicino all’unanimità, ma molti evitano di dimostrare la propria
solidarietà con i movimenti in Libia e in Siria. Alcuni sostengono che, insieme all’Iran,
il regime siriano sia l’ultima presa di posizione contro l’imperialismo statunitense nella
regione e dovrebbe essere sostenuta in tale contesto. Altri inizialmente hanno
sostenuto le richieste popolari per la riforme democratiche ed economiche, ma adesso
insistono per difendere il regime come un contrappeso necessario, seppur imperfetto,
e antimperialista agli americani.
Ciò ha portato molti a sinistra ad adottare posizioni che negano il mandato e il
potenziale rivoluzionario del popolo siriano, e ha portato molti altri a formulare
profondi argomenti islamofobici per screditare le forze anti-Assad sul terreno.
Lo scopo di questo articolo non è quello di spiegare perché questo sia un tradimento
fondamentale della premessa più fondamentale della sinistra, cioè di sostenere le lotte
dei lavoratori e degli oppressi per i diritti economici e politici. Questo è stato fatto
altrove, soprattutto nel libro di Leila Al-Shami e Robin Yassin-Kassab, Burning
Country: i siriani in rivoluzione e in guerra [1].
Piuttosto, cerco qui solo di ristabilire alcuni fatti fondamentali sul regime siriano
Ba’ath, in particolare concentrandomi sul suo periodo più “radicale”. Io sostengo che il
Ba’ath non è mai stato socialista e che Hafez al-Assad era estremamente
disinteressato alla causa dell’arabismo, del socialismo o della liberazione palestinese.
Per farlo esplorerò le condizioni della sua ascesa al potere e la natura
controrivoluzionaria del suo successivo intervento nella guerra civile libanese.
Per coloro invece che non hanno bisogno di convincersi su questi fronti, spero che
questo pezzo possa aggiungere qualcosa alla loro conoscenza storica riguardo
all’ultimo periodo della radicalizzazione e della rivoluzione in Medio Oriente.
Origini dello stato siriano
Lo stato noto come Siria è un fenomeno moderno e relativamente instabile. Le sue
radici storiche possono essere rintracciate nell’apparato amministrativo richiesto per
incassare le tasse in una zona dell’impero ottomano, che è stato poi assorbito e
modificato dai francesi [2].
Lungi dall’essere un risultato di una lotta per l’unità e l’indipendenza nazionale, lo
stato siriano è emerso come un prodotto del potere coloniale e della divisione
geografica.
La regione nota come Grande Siria durante l’impero ottomano includeva quello che ai
giorni nostri comprende il moderno Libano, la Giordania, la Siria, la Palestina e la
parte meridionale della Turchia. Nella creazione dello stato moderno della Siria, i
francesi non presero in considerazione le relazioni preesistenti e le leggi tribali,
economiche e religiose. Di conseguenza, lo stato siriano ha dovuto affrontare enormi
difficoltà nello sviluppo di un’autentica identità nazionale.
L’accordo di Sykes-Picot ha creato un semplice guscio di una nazione in Siria e
decenni di divisione e dominio dei Francesi l’hanno mantenuto così com’era . L’ampio
spettro di gruppi religiosi, etnici e culturali in competizione per l’influenza e la
protezione hanno minato l’esistenza dello stato appena nato.
Questo è stato facilitato dai francesi [3], che hanno istituito l’autogoverno per le
province come Jabal al-Druze e Latakia (una provincia soprattutto Allawite) dominate
da rispettivi gruppi minoritari.
Questi protettorati erano deboli e le dirigenze locali emerse erano totalmente
dipendenti dal patrocinio francese per la loro sopravvivenza. Tali strategie coloniali
divisive servivano sia a rafforzare le identità comunitarie dei raggruppamenti religiosi
minoritari, sia a dividere le comunità sunnite di maggioranza che erano ostili ai
francesi e vedevano tali alleanze come traditrici [4].
Nel tentativo finale di consolidare il loro controllo, i francesi hanno cooptato le sezioni
delle classi dominanti sunnite, rafforzandone il potere dei notabili tradizionali e
creando così una borghesia debole ma importante basata sull’agricoltura e la proprietà
terriere[5].
I proprietari terrieri, a loro volta, hanno usato il settarismo per cementare il loro
dominio. Mentre le minoranze erano relativamente sicure nelle loro province
autonome, la successiva fusione di regioni alevite e druze in Siria nel 1936 hanno
consentito elle elite sunnite di elevarsi. Ai curdi sono stati negati l’uso del loro
linguaggio e vietata ogni espressione culturale e gli aleviti sono stati considerati solo
adatti per essere dei servi. Le comunità druse e le minoranze cristiane stavano solo
leggermente meglio. L’élite della borghesia sunnita ha visto la sua ricchezza e il suo
potere crescere esponenzialmente in questo periodo.
Tuttavia i proprietari sunniti non erano in grado di istituzionalizzare il loro dominio. In
particolare, non sono stati in grado di creare uno stato centralizzato basato su
istituzioni civiche che potessero vincere la fedeltà del popolo. Le connessioni tribali e
regionali hanno mantenuto un significato straordinario durante tutto il periodo preAssad, in modo che un storico ha potuto scrivere: “Quando la Siria divenne
indipendente nel 1946, era per molti aspetti uno stato senza essere stato nazionale,
un’entità politica senza essere una comunità politica “. [6]
Dopo la seconda guerra mondiale, un’ondata di lotte popolari che coinvolsero studenti,
lavoratori e gli strati poveri esplosero il Medio Oriente. [7] Il più alto punto raggiunto
in termini di lotta di massa si è verificato in Iraq, dove tra il 300 mila e un milione di
persone marciò nel maggio del 1959, chiedendo che il nuovo regime anti-coloniale
desse una giustizia sociale e una vera democrazia [8]. Questi movimenti furono
caratterizzati dalla frustrazione per la stagnazione della situazione sociale ed
economica delle società arabe semi feudali e alla rabbia per la sconfitta umiliante
subita dagli eserciti arabi da parte di Israele nel 1948. Settori delle sinistra erano al
centro di questi movimenti. Le più importanti sono state le organizzazioni “comuniste”
allineate al blocco sovietico, che sono cresciute in misura ed influenza in tutti questi
anni.
Questi sentimenti erano fortemente concentrati nel nuovo strato sociale composto dai
dipendenti pubblici; insegnanti, avvocati, medici e corpi militari ed i loro ufficiali.
Spesso i laureati delle prime scuole pubbliche nei loro rispettivi paesi arabi, questi
“effendi”(uomini molto rispettati) erano intellettuali della classe media; con
abbastanza istruzione per essere consci del fatto che gli arabi erano in ritardo rispetto
all’Occidente ma con abbastanza ambizione di credere di possedere la soluzione [9].
Essi svolgevano un ruolo decisivo in paesi come la Siria, l’Egitto e l’Iraq dove i
movimenti sociali erano abbastanza forti da destabilizzare i vecchi sistemi di governo,
ma gli stalinisti – consapevoli teoricamente delle possibili tappe del cambiamento
sociale – rifiutarono la possibile presa del potere.
In questo vuoto è avanzata la parte più potente e organizzata di queste nuove classi
medie – gli ufficiali militari – che scalzarono la vecchie élite dei latifondisti ed
istituirono dei regimi militari populisti. Hafez al-Assad, l’uomo che avrebbe poi
dominato la Siria dal 1970 al 2000, era uno di loro..
Al contrario di una delle affermazioni più idiote degli assadisti di oggi, il partito Ba’ath
al potere dal 1963, non è mai stato un partito socialista della classe operaia. Piuttosto
è stato un partito della classe media inferiore, relativamente piccolo, con poco più di
400 membri quando prese il potere nel 1963. [10]
Questo strato sociale era profondamente ostile ai privilegi ereditati dalle arretrate elite
sunnite e cercò una distribuzione più equa e meritocratica del potere e delle
opportunità. Per ragioni economiche, molte persone di questo rango si trovavano
concentrate nelle file dell’esercito siriano, aperto ad entrambe le minoranze e alla
popolazione più povera, mentre l’ establishment politico ed economico non lo era
affatto.
Un ulteriore fattore che spiega questa traiettoria è la natura delle classi medie stesse.
Mancando il potere della borghesia, il proletariato e la piccola borghesia sono
relativamente impotenti di fronte alle dinamiche del sistema capitalista. Così tendono
a gravitare verso lo stato, che diventa per loro “il bastione dell’indipendenza nazionale
e … lo strumento chiave dell’azione politica ed economica” [11].
In Siria questo processo è stato accelerato dal fatto che gli avvenimenti dopo il ritiro
francese nel 1946 avevano ulteriormente rafforzato i militari; Una serie di colpi di
stato in cui i leader in arrivo espanderanno il potere dell’apparato militare come
strumento per rafforzare il proprio potere, culminando nel dominio totale dei militari
su ogni altro aspetto della società. Questo aspetto infatti ebbe delle ripercussioni per
la successiva battaglia tra le ali civili del partito Ba’ath e la cricca militare guidata da
Assad.
Le politiche del partito Ba’ath delle origini riflettevano i desideri di blocchi sociali che il
partito rappresentava. Adottarono la strategia dello sviluppo populista, definita dal
forte coinvolgimento dello Stato nell’economia e dalla nascita di istituzioni
corporativistiche per mobilitare le classi subalterne anche utilizzando il linguaggio
eclettico della terminologia di sinistra. [12] Furono nazionalizzate parti dell’industria,
investendo pesantemente nell’infrastruttura primaria cercando di industrializzare e
modernizzare la Siria. Forse la più significativa di queste politiche fu quella delle
politiche di distribuzione obbligatoria delle terre che fissavano limiti massimi sulla
proprietà del suolo e sulla vendita sovvenzionata di terreni in eccesso ai contadini
poveri. Prima che questo avvenne la Siria aveva subito una delle distribuzioni più
disuguali della terra in Medio Oriente:
Nel 1950 i proprietari di terreni con oltre 100 acri costituivano meno dell’1% della
popolazione agricola, ma tenevano la metà della terra coltivabile, mentre il 60% della
popolazione agricola non possedeva alcuna terra. Il Ba’ath sperava che la riforma di
questa terribile situazione avrebbe portato ad un aumento della produttività delle zone
rurali, che combinandosi con la guida statale dell’industrializzazione urbana avrebbe
fatto crescere il paese nel suo complesso.[13]
Queste politiche populiste hanno anche aiutato il Ba’ath a consolidare la sua base tra
lavoratori, contadini e la popolazione più povera. Nei primi anni il governo ha
aumentato notevolmente i salari e ha fornito sovvenzioni sui prodotti alimentari e sui
beni e i servizi di base.
Le riforme agrarie ampliarono massicciamente la classe dei contadini poveri che
dovevano essere sottoposti ai controlli di prezzo centralizzati e gestiti dallo Stato. Si
può affermare cose simili per quanto riguarda la nazionalizzazione delle industrie
chiave e la concessione di un certo benessere e “welfare” alla classe operaia e ai
poveri. Mentre facevano questo, i Baathisti potevano articolare una retorica radicale
nazionalista e persino “socialista” che sembrava unire gli interessi dell’ “intelligentsia”,
della classe media con quella del proletariato e dei più poveri [14]
Il periodo compreso tra il 1963 e il 1970 è stato caratterizzato da turbolenze
all’interno del partito Ba’ath, ma in mezzo ai diversi intrighi, tradimenti e manovre, si
è manifestata una certa traiettoria di sinistra [15].
Ciò è culminato con le leggi di Salah Jadid, leader conosciuto per le sue simpatie
staliniste e per la sua propensione alla strategia militante di una “guerra popolare di
liberazione” contro Israele. Subito dopo il suo arrivo al potere nel 1966, Jadid ha
introdotto una serie di misure economiche radicali. Queste hanno compreso la
nazionalizzazione di ulteriori sezioni dell’economia e l’avvio del progetto Euphrates
Dam, che è stato progettato per essere la base per quello che Hinnebusch ha
definito”socialismo agrario ba’athista”. Jadid ha ulteriormente limitato la quota
massima di terreno che poteva essere legalmente posseduta da qualsiasi individuo e
dal 1970 nazionalizzò tutta la terra in eccesso [16].
ll risultato di tutto questo è mostrato nella tabella 1; Una classe massicciamente
espansa di contadini e una drammatica riduzione nei numeri e nel potere della
borghesia latifondista. Infine i Ba’athisti indirizzarono il sistema d’istruzione in una
direzione nuova e moderna, portando le scuole private sotto controllo statale,
costruendo centinaia di nuove istituzioni ed enfatizzando l’importanza della scienza e
dell’ingegneria.
Tabella 1 –VARIAZIONI DELLA COMPOSIZIONE DELLE CLASSI SOCIALI
SIRIANE DAL, 1960 AL 1970 in %
1960 1970
% %
Borghesia industriale e 2.2 0.7 commerciale
Borghesia rurale 4.5 0.6
Classe media salariata 15 16
Piccola borghesia tradizionale 12.5 14.7
Classe operaia 17.9 17.6
Piccoli contadini 27.4 41.5
Proletariato agricolo 20.5 8.9
Mentre il sostegno popolare di queste politiche non era messo in discussione, stava
nascendo una dura opposizione. La Siria era isolata nella regione dopo la guerra del
1967, perché aveva incolpato le “monarchie arabe” reazionarie della sconfitta degli
eserciti arabi (guerra dei 6 giorni) [17]. Di conseguenza, gli aiuti finanziari
indispensabili in arrivo dell’Arabia Saudita, del Kuwait e della Libia si bloccarono[18].
Sul fronte domestico ci furono anche difficoltà con la stagnazione economica, un saldo
negativo del commercio e una crescente opposizione dai capitalisti [19]. I proprietari
terrieri si ribellarono contro la riforma agraria. I commercianti si opposero al crescente
intervento dello Stato nel commercio delle città e per tutte le restrizioni e imposizioni
commerciali che ne limitavano i guadagni . La piccola borghesia tradizionale vicina alle
moschee ha identificato il laicismo ba’athista come un attacco ai suoi privilegi sociali e
non amava i metodi dell’istruzione laica.
Alawiti, Druze e, in misura minore i cristiani che avevano ruoli di potere videro tutto
questo come un’eresia. Legate tra loro attraverso le reti religiose ed economiche,
queste classi in questo periodo trovarono molti simili interessi e costituirono un fronte
comune contro le politiche radicali dei Ba’athists.
Il “movimento correttivo” di Assad batte in ritirata.
Di fronte a queste sfide, la “repubblica radicale” fu costretta a fare una scelta difficile.
I dirigenti statali avrebbero potuto approfondire la lotta contro il vecchio ordine
prendendo misure sempre più radicali per confiscare la ricchezza e sfidare
l’imperialismo oppure riconciliarsi con l’ordine regionale e tagliare le misure populiste
sul sociale e sul welfare. In Siria, il colpo di stato di Assad contro Jadid nel 1970 segnò
il punto di svolta decisivo lontano dal populismo radicale, diretto verso l’autoritarismo
burocratico [20]. Questo è stato il punto di partenza di un processo di compromesso e
adattamento sia alla classe capitalista nazionale che alle forze imperialiste regionali.
Mentre la costituzione del 1973 sancì il “socialismo” come un principio del nuovo
regime, fu immediatamente evidente che la politica di Assad era quella di conciliare il
governo con le crescenti forze dell’opposizione. Venne descritta la sua ascesa al potere
come quella di un “movimento correttivo”, un mezzo per salvare la Siria dalle politiche
irresponsabili e “estremiste” introdotte dal suo predecessore [21]. Subito dopo aver
assunto il potere, Assad inviò un messaggio chiaro alle élites urbane dichiarando la
sua opposizione alle politiche di stato radicali dei suoi predecessori. Le sue nuove
politiche puntarono all’incorporazione di sezioni chiave dell’ establishment borghese, in
particolare le sue ali mercantili e commerciali che avevano sede nelle grandi città di
Damasco e di Aleppo. [22]
Sebbene la maggior parte di tutti gli investimenti continuava a passare attraverso lo
stato, l’impresa privata realizzava grandi profitti con il mercato di beni di consumo di
fascia alta e l’adempimento di contratti governativi. In questo modo fu stabilita in Siria
una divisione semi-ufficiale del lavoro tra il settore privato e quello pubblico: le
industrie redditizie e il commercio per le imprese private, mentre le infrastrutture e le
industrie primarie su larga scala (a basso profitto) furono curate dallo stato. Questo
era un compromesso che beneficiava entrambe le parti portando ad un’alleanza
duratura tra Assad e la borghesia mercantile di Aleppo e Damasco.
Tuttavia il processo non era semplicemente un ribaltamento delle riforme economiche
e politiche degli anni precedenti. Assad ha cercato di utilizzare la sua nuova posizione
di potere per facilitare la costruzione di un’ampia base sociale per garantirsi un
governo stabile. I funzionari statali hanno coltivato attivamente le alleanze con la
nuova classe di imprenditori super-ricchi dei centri urbani, creando una “nuova classe”
di capitalisti. Questa classe si basava sulle connessioni personali con il regime per
ottenere contratti e sovvenzioni statali lucrativi, che a loro volta potevano passarli ad
altri.[23]
Questo processo ha creato delle reti di patrimoni interamente contingenti con i favori
personali del regime, aspetto definito da qualcuno come il “complesso militarecommerciale” [24]. Assad poteva così sinceramente ringraziare e salutare la Camera
di Commercio ei commercianti di Damasco per i loro sentimenti patriottici … e la loro
devozione all’interesse nazionale “. Il loro appoggio è stato fondamentale per la sua
sopravvivenza durante la rivolta urbana generalizzata guidata dalla Fratellanza
Musulmana durante la fine degli anni ’70 e culminata nell’assedio di Hama nel 1982 e
nel massacro probabilmente più di 10.000 persone e che rimane fondamentale per il
mantenimento del potere di suo figlio oggi. [25]
Nei primi giorni dell’espansione post-coloniale il regime poteva contare su una base
borghese di sostegno, offrendo contemporaneamente qualche vantaggio ad altre
classi. Questo è stato fatto rispondendo alle esigenze di determinati strati sociali. Per
cominciare, il regime ha sviluppato un’enorme apparato amministrativo dotato di uno
strato relativamente privilegiato di lavoratori di classe media e di colletti bianchi. Le
posizioni nei livelli inferiori della burocrazia furono utilizzati anche dalle élites per
estendere i favori e rafforzare la loro base [26]. Di conseguenza, tra il 1970 e il 1983
il contributo del settore pubblico al Prodotto Interno Lordo è aumentato del 50%,
mentre tutte le altre categorie sono rimaste più o meno stabili [27]. Nel 1982 la Siria
aveva 440.000 funzionari pubblici, esclusi la polizia, le forze armate e altri apparati di
sicurezza [28].
Politicamente questo ha generato una situazione in cui i livelli inferiori e superiori della
burocrazia si sono legati insieme ideologicamente e materialmente in difesa del
settore pubblico e quindi del regime che li ha impiegati.
Il governo di Assad ha svolto un ruolo centrale nello sviluppo dell’industria statale,
come fonte di opportunità di lavoro e di prestigio politico. Le imprese su larga scala
erano cruciali per consentire al regime di intraprendere passi avanti verso la
“modernità”, assorbendo un notevole numero di lavoratori disoccupati. Ma ha anche
prodotto benefici politici; “La mera realizzazione di un progetto è un obiettivo politico
in sé, che offre la crescita e opportunità ” moderne “, erogando salari e stipendi e
evidenziando il ruolo dello Stato” [29]. In questo periodo il governo di Assad ha anche
mantenuto un’assistenza diretta verso la popolazione povera, soprattutto sotto forma
di sovvenzioni su beni e servizi prodotta a livello nazionale [30]. Le spese dello Stato
sono state quindi utilizzate come mezzo per incorporare una serie di classi sociali a
supporto del regime di Assad. E’ importante però dire che questa assimilazione era
rigorosamente di tipo economico; Non ha comportato diritti politici o influenza sulla
politica [31].
Corporativismo in crisi
Le politiche sopra descritte della Siria non erano uniche. Le politiche del partito Ba’ath
erano simili a quelle dell’Egitto, dell’Iraq e di tutta una serie di regimi africani e asiatici
post-coloniali.
Come in molti di questi stati in questo periodo, i Ba’athisti stavano tentando di
traghettare l’economia siriana attraverso il processo economico dell’ importazionesostituzione (concetto che definisce la sostituzione delle importazioni di prodotti finiti
con la produzione interna degli stessi attraverso l’importazione massiccia di
macchinari e tecnologie) e gli investimenti condotti con infrastrutture di larga scala.
Negli ultimi paesi in via di sviluppo e con una debole borghesia, lo Stato è spesso
l’unica istituzione in grado di avviare e dirigere in modo efficace i progetti economici
importanti. Per un certo periodo tali politiche possono ottenere la crescita economica e
lo sviluppo, in quanto gli aumenti improvvisi degli investimenti passano nell’economia
sotto forma di salario, occupazione secondaria e così via.
I dirigenti degli Stati in questo periodo hanno spesso adottato una retorica socialista
per descrivere le proprie politiche di Stato, sia come conseguenza di alleanze con i
regimi stalinisti o come tentativo per guadagnare popolarità. E mentre queste riforme
sono state generalmente progressive rispetto a quanto accaduto prima, è importante
affermare che non avevano niente a che fare con il socialismo. Purtroppo gran parte
della sinistra aveva perso i suoi principi a seguito dell’asservimento diffuso allo
stalinismo e all’URSS, non aveva la visione chiara delle cose. Corey Oakley delinea il
legame tra il sostegno per l’URSS e il nazionalismo del terzo mondo come segue:
La nozione predominante che uno Stato potesse essere definito come socialista era
basata su quei paesi che si allineavano tra loro o che avessero un’economia di Stato e
significò quindi per questa teoria, che una serie di stati improvvisamente diventassero
socialisti … [32]
Per gli stalinisti convinti, la Siria ha messo a segno entrambe queste caselle – con
un’economia statale e una forte alleanza con l’URSS. Era quindi diventata per loro
socialista. I trotskisti tendevano ad essere più esigenti, ma non erano immuni a
questa analisi; Almeno una loro tendenza avrebbe descritto la Siria Ba’athist come
stato operaio fino al 1978! Gli eventi che seguirono avrebbero poi chiarito il perché
questo fosse un enorme errore, che continua tutt’oggi a creare un approccio sbagliato.
Una definizione più accurata e utile del regime siriano – e altri simili al primo periodo –
è il sistema corporativo. Questo può essere spiegato come un sistema di interessi in
cui le unità rappresentate che lo costituiscono sono organizzate in un numero limitato
di categorie non concorrenziali, gerarchicamente ordinate e funzionalmente
differenziate con la legittimazione di un monopolio rappresentativo. In cambio
vengono effettuati i controlli sulla loro scelta dei leader e sull’articolazione del
programma [33].
Questo tendeva a coincidere con una fase espansionistica di sviluppo subito dopo
l’indipendenza dai poteri coloniali. Al centro di questo metodo di governo c’era la
creazione di istituzioni che volevano incorporare formalmente classi e gruppi sociali
significativi nello Stato. Nasser ha avuto il Liberation Rally (organizzazione che aveva
lo scopo di mobilitare il sostegno popolare per il nuovo regime tramite la captazione di
ufficiali fedeli, leader di lavoratori) e l’Unione Socialista araba. Assad ha avuto
un’Unione dei contadini, l’Unione dei lavoratori, l’Unione delle donne e altro ancora. Lo
scopo di tali istituzioni era quello di permettere allo Stato di radicarsi nelle classi
popolari, riducendo contemporaneamente lo spazio per le organizzazioni indipendenti.
Era cruciale che si stabilisse il legame tra lo Stato e settori popolari proprio come
elemento di controllo [34].
Questa difficile combinazione del populismo e dell’autoritarismo è stato il marchio di
fabbrica di un certi tipi di regimi post-coloniali, di cui la Siria del suo partito Ba’ath era
un esempio di archetipo.
Eppure, queste politiche populiste furono propagandate come risorse economiche ed
erano entrambe definite e politicamente vincolate. La crescita annua del PIL di Siria è
stata in media del 9 per cento dal 1970 al 1979, consentendo allo Stato di migliorare
le condizioni di tutte le classi strategiche in una sola volta [35]. Questa crescita però
non è durata. La poco affidabile pianificazione ha significato che la maggior parte degli
investimenti condotti da Stato ha fallito, afflitta da bassi profitti, dalle risorse con
coperte corte e da altre difficoltà. [36]
Gli effetti fluttuanti della crisi globale negli anni settanta hanno ulteriormente
aggravato questi problemi economici che si sono aggravati in Siria da una serie di
peculiarità geopolitiche. Come “stato di frontiera” nel conflitto arabo-israeliano, la Siria
aveva goduto di una gran quantità di aiuti dai paesi del Golfo dopo l’ascesa al potere
di Assad. Questo si ampliò ulteriormente dopo la guerra di ottobre nel 1973; In media
il governo ha ricevuto oltre 600 milioni di dollari l’anno tra il 1973 e il 1980.
[37] Dopo la rivoluzione del 1979 in Iran e il sostegno della Siria per Khomeini
durante la guerra Iran-Iraq, questo aiuto è stato in gran parte ritirato, lasciando un
vuoto nel bilancio solo parzialmente riempito dall’Iran [38].
La crescente crisi dell’URSS da sola ha aggravato la situazione per la Siria, dipendente
come importanza dalle forniture economiche e militari provenienti dalla Russia e dal
blocco orientale. Tutto questi si è sommato a generare una grave crisi economica nei
primi anni ’80.
Sotto queste immense pressioni, il sistema corporativista cominciò a rivelarsi nella
crisi per quello che era. Lo Stato nel 1985 ha risposto ad una profonda crisi fiscale
limitando la crescita del settore pubblico, a partire da un congelamento di quattro anni
sulle nuove assunzioni [39]. Il reale declino dei salari dei settori medi e bassi
dell’apparato amministrativo ha impoverito molti di quelli che hanno mantenuto le
proprie posizioni. Di conseguenza, negli anni Novanta un enorme 40 per cento dei
dipendenti statali ha riscosso salari inferiori al livello di sussistenza. [40] Altre riforme
neoliberali hanno contribuito all’abbassamento generale degli standard di vita per i
poveri. Le sovvenzioni e le disposizioni del welfare sono state ridotte, con quelle che
non sono riuscite a tenere il passo con l’inflazione. Di conseguenza, il divario tra ricchi
e poveri è cresciuto notevolmente, poiché la redistribuzione del reddito da lavoro a
capitale si è accelerata [41]. Una tale diffusione di povertà tra i dipendenti pubblici
cominciava a scuotere la loro fedeltà verso il regime, con limitati segnali di di
resistenza anche tra avvocati, medici e altre parti dell’”intelligentia” salariata [42]. La
neoliberalizzazione accelerò questo processo ulteriormente dopo l’ascesa di Bashar al
potere nel 2000. [43]
La rivoluzione che è iniziata nel marzo 2011 deve essere intesa come il prodotto
diretto di questi sviluppi.
Questa evoluzione dal corporativismo populista verso il neoliberalismo autoritario è
tutt’altro che peculiare del contesto siriano. Il modello di “sostituzione-importazione”
ha generato errori che hanno colpito un certo numero di stati del terzo mondo negli
anni settanta, poiché l’elevato costo di importazione di attrezzature avanzate ha
portato alla crescita del debito pubblico e agli squilibri della bilancia dei pagamenti
[44].Gli Stati costretti a rivolgersi sempre più al settore privato rivitalizzato, hanno
gradualmente accentuato le ferire provocate dalle politiche economiche populiste
dell’epoca precedente. In questo modo le crisi economiche tendevano a diventare
politiche. La velocità con cui questo processo si è svolto da paese a paese è stato
mediato da una serie di fattori, tra cui la capacità dei lavoratori e dei poveri a
resistere o l’accesso agli aiuti esteri e così via. Ma la traiettoria generale degli stati
populisti-autoritari era simile; le tendenze autoritarie diventano sempre più
pronunciate quando le politiche populiste si ritirano.
Il mito dell’ anti-imperialismo ba’athista
Detto tutto questo, la Siria di Assad non era mai conosciuta per la sua economia
“socialista”, ma per la sua politica estera antimperialista. Abbiamo visto come Hafez
al-Assad ha cercato di allontanarsi dai suoi predecessori più stalinisti, preferendo
collaborare con i capitalisti e con altre forze nazionali conservatrici. Questo schema si
è più o meno riflesso nel campo della politica estera della Siria.
Lontano dallo scontro diretto contro il sionismo e dei suoi alleati imperialisti, Assad ha
cercato di costruire alleanze pragmatiche con gli Stati del Golfo e ha adottato una
posizione difensiva con Israele insieme al disgraziato e storico passaggio verso il
riconoscimento alla sua esistenza.
Il governo del suo predecessore ha giocato in modo selvaggio la carta della Palestina,
con i proclami dell’imminente distruzione di Israele e la sua ambizione di trasformare
la Siria nel Vietnam del Medio Oriente. [45]
Era anche riuscito a costringere Nasser contro la sua volontà a rinnovare un’alleanza
con la Siria, allo scopo di organizzare la guerra contro Israele. Questa guerra non
doveva essere solo una qualsiasi guerra, doveva essere una “guerra di liberazione
popolare”, condotta dalle milizie palestinesi che il regime forniva di fondi, armi e
addestramento significativi [46].
Nel 1967 gli israeliani decisero di porre fine a questo sogno, lanciando una guerra
brutalmente efficiente che ha portato a una sconfitta umiliante per il fronte arabo. Per
rendere le cose peggiori per i leader arabi, Israele decise di occupare definitivamente
il deserto del Sinai e le alture del Golan in Siria. Quest’ultima era di importanza
strategica cruciale, una zona interna e di una vastità impressionante prima sotto il
controllo di Damasco. Invece di dichiarare la sconfitta, Jadid cercò di radicalizzare la
politica estera della Siria. Ha sostenuto che la guerra era la prova che la maggioranza
dei regimi arabi erano colpevoli di deviazioni reazionarie che le rendevano incapaci di
affrontare Israele e Stati Uniti. La soluzione sarebbe stata solo quella di rovesciare i
sistemi “feudali” in luoghi come l’Arabia Saudita e la Giordania e sostituirli con regimi
rivoluzionari [47]. Ovviamente non intendeva rivoluzioni vere ma la creazione di
regimi statali allineati a Mosca. Questa sfumatura non sfuggì agli Stati del Golfo i cui
governanti preferivano chiaramente non essere rovesciati, indipendentemente dal
risultato. Risposero tagliando i trasferimenti degli aiuti vitali paralizzando la capacità
economica del governo ba’athista [48].
Jadid ha inoltre continuato a consentire alle milizie palestinesi di utilizzare il territorio
siriano come base di lancio per attacchi di guerriglia su Israele. Anche questo è
costato caro, poiché Israele ha usato la sua superiorità militare per rispondere con
una violenza sproporzionata.
Assad cambiò velocemente questi eccessi. Il suo reale approccio al potere è stato
preceduto dal rifiuto totale di concedere una copertura aerea ai palestinesi che
combattevano contro la monarchia giordana durante gli eventi del “settembre nero”.
Mentre Jadid era distratto dal compito di difendere la presenza dell’OLP in Giordania,
Assad si è imposto lanciando il colpo di palazzo che aveva preparato fin dal 1968.
Le concessioni di Assad
La prima importante decisione della politica estera del nuovo regime fu quella di
cercare un ravvicinamento con gli Stati esportatori petroliferi del Golfo. Lungi a vedere
l’unità araba come mezzo per rivoluzionare le strutture sociali e politiche ereditate
dall’era coloniale, Assad la considerava una necessità immediata per impedire la
separazione della Siria dal punto di vista politico e militare [49]. Era altrettanto
consapevole dell’importanza economica degli aiuti esteri e ha quindi posto grande
enfasi sul rinnovo delle sue alleanze con l’Arabia Saudita e con altre monarchie ricche
di petrolio. Come avrebbe detto più tardi:
“Alcuni dei miei colleghi hanno denunciato altri paesi con grande fanatismo. Credevo
fortemente che dovessimo incoraggiare altri arabi a giocare la loro parte e non essere
quelli che ostacolano uno sforzo arabo congiunto. Qualunque siano i conflitti tra i
regimi, gli arabi hanno affrontato un pericolo comune” [50].
Un altro grande cambiamento si è verificato sulla posizione della Siria verso l’esistenza
dello Stato sionista d’Israele. Dove Jadid aveva sostenuto la linea “del rifiuto” adottata
dalla sinistra araba, Assad indicava la sua disponibilità ad accettare il diritto di Israele
di esistere. Questo ha assunto l’offerta sotto forma di un sostegno alla risoluzione dell’
ONU 242- che chiedeva agli stati arabi di accettare il diritto di Israele di esistere –
chiedendo in cambio il pieno ritorno del Golan sotto la Siria e di un riconoscimento
scritto senza significato dei diritti palestinesi [51]. Israele non ha mai risposto a
questa offerta, costringendo Assad ad adottare una posizione più conflittuale per
ottenere ulteriore appoggio finanziario .
Tra il 1970 e il 1973 la Siria ha aumentato significativamente la dimensione e la
coesione del suo esercito, sperando di spostare l’equilibrio delle forze per negoziare in
modo più equo con Israele. Questo ha fatto riemergere di un certo numero di ufficiali
di destra, precedentemente spazzati da Jadid. L’esercito siriano ha inoltre ottenuto
enormi quantità di aiuti militari e l’addestramento da parte della Russia, un rapporto
che continua fino ad oggi. La portata del sostegno fornito al governo siriano in questo
periodo è enorme; L’URSS ha fornito alla Siria 183 milioni di dollari del suo miglior
equipaggiamento militare nei primi sei mesi del 1973, appena meno di 1 miliardo di
dollari nelle cifre di oggi. [52] Senza questa iniezione di risorse Assad non avrebbe
mai potuto lanciare la guerra di ottobre di quell’anno. Molto è stato fatto sulla “guerra
di ottobre”, per mantenerla nella coscienza popolare del Medio Oriente come la prima
vittoria araba contro Israele. A questo si aggiunge la percezione che Sadat e Assad
stavano combattendo per la Palestina, determinati ad imporre una giusta soluzione
agli ostinati israeliani. La verità è meno romantica. Sia Sadat che Assad hanno visto la
guerra come un sfortunato ma necessario mezzo per imporre dei negoziati di pace.
Questo obiettivo stava dentro i piani ideati da Sadat per una guerra limitata, dove il
successo avrebbe comportato la cattura di soli “dieci millimetri di terreno sul lato est
del canale”. [53] Assad sperava viceversa di correre sulla scia di Sadat, spingendo gli
egiziani in un confronto militare più profondo per massimizzare le sue possibilità di
recuperare il Golan nei successivi colloqui di pace. La determinazione di Assad per
spingere l’Egitto ad adottare obiettivi militari più ambiziosi non era un prodotto del suo
profondo impegno personale per sconfiggere Israele, ma una necessità
strategica[54].
Nessuno di questi motivi fu evidente all’epoca, e la guerra fu accolta con immenso
entusiasmo in tutto il Medio Oriente. Dato il fallimento catastrofico degli eserciti arabi
nel 1967, combattendo Israele lo stallo era visto come una vittoria. Le speranze
furono sollevate dal modo in cui il mondo arabo sembrava essersi unito nella lotta
contro Israele. Uno dei motivi fu l’uso del petrolio come arma adottata per la prima
volta, sotto forma di un embargo parziale messo in atto contro l’ Occidente dai paesi
del Golfo. Riflettendo su questa nuova iniezione di fiducia, un generale anziano
egiziano si vantava che “il mondo si è svegliato con il fatto che possiamo muoverci,
combattere e poter raggiungere la vittoria”. [55]
In Siria i media di Stato osannavano Assad “l’eroe dell’ottobre” e un giornale fu
ristampato per commemorare la guerra. Questo avvenne così presto dopo la sua
ascesa al potere che da queste celebrazioni che Assad ne beneficiò notevolmente
confermando la sua legittimità come statista nazionalista arabo. Molti si erano
scontrati con Israele, ma Assad fu il primo a essere competente abbastanza per
ottenere qualche successo. La nascita della Siria come giocatore centrale nella politica
mediorientale durante e dopo la guerra ha consolidato questa nuova popolarità.
Mentre Sadat ha assunto il cammino post-bellico verso una pace permanente con
Israele, Assad era libero di posizionarsi come erede del defunto defunto Gamal Abdel
Nasser. Questo post-guerra ha camuffato una serie di compromessi storici e
concessioni fatte dai siriani. La prima è stata la firma della risoluzione 338 dell’ONU
che ha accettato il diritto di Israele di esistere entro i confini del 1967 [56]. Dopo la
guerra, Assad ha iniziato a corteggiare il segretario di Stato americano Henry
Kissinger, offrendo di porre fine a tutte le ostilità tra Israele, Siria e Stati Uniti in
cambio del ritorno a se delle alture del Golan [57]. Come prima della guerra, non ci fu
l’accordo non tanto per la mancata insistenza di Assad ma soprattutto per
l’intransigenza israeliana.
Il disastro libanese
Se la guerra del 1973 suggeriva che Assad fosse più interessato alla stabilità che alla
giustizia, il suo intervento nella guerra civile libanese senza dubbio lo confermava.
Anche se Assad continuava a utilizzare la sua retorica anti-sionista, il ruolo primario
delle forze siriane è stato quello di schiacciare l’OLP e i suoi alleati di sinistra del
Movimento Nazionale libanese (LNM).
I suoi alleati in questo progetto erano la destra fascista in Libano, il governo israeliano
e il dipartimento di stato USA. Per comprendere appieno le motivazioni di questa
disgraziata alleanza, è necessario prima conoscere qualcosa sulla situazione in Libano.
I francesi avevano disegnato il Libano come un paese perpetuo immerso nella guerra
civile e avevano sottratto dalla Siria un territorio con una piccola maggioranza di
cristiani maroniti, che speravano sarebbero stati clienti fedeli e alleati. [58] Nel
conseguire la sua indipendenza è stato formalizzato un “Patto Nazionale” che ha
sancito uno stato settario sulla base della rappresentanza confessionale: il Presidente
deve essere un Maronita, il Primo Ministro un Sunnito, il portavoce… e così via. Le
questioni che circondavano questa formula settaria hanno formato gran parte della
storia del Libano. Aumentare ulteriormente il potenziale dello scontro settario è stato il
conflitto socioeconomico tra i gruppi religiosi. Anche se le cose sono cambiate molto di
recente, i cristiani erano tradizionalmente al vertice della scala economica e gli sciiti in
fondo. [59]
Periodicamente queste tensioni esplodevano in lotte aperte come nel 1958, quando le
forze allineate con l’Egitto e la Siria si alzarono contro un presidente filo-occidentale.
Come è diventato tipico per il Libano, è stato raggiunto un compromesso e lo “status
quo” settario è stato conservato a beneficio delle elite di tutte le parti in causa.
Tuttavia, questo non ha risolto i problemi sommersi creati dal sistema confessionale e
dalla disuguaglianza economica. Le timide politiche dei successivi governi di unità
nazionale hanno aperto la strada alla successiva guerra civile [60].
La presenza palestinese in Libano ha innestato le problematiche complesse del
conflitto arabo-israeliano su un ambiente locale già molto teso. La politica estera è
sempre stata una fonte di conflitto in Libano. Il Patto Nazionale del 1943 ha
espressamente garantito l’indipendenza del Libano dalla Siria e da altri stati arabi, e
ha anche impedito ai cristiani di ricercare un sostegno o di un finanziamento
occidentale [61]. Questo “accordo di doppia negazione” rappresentava un atto di
bilanciamento tra i desideri pan-arabi delle fazioni musulmane e progressiste contro
quelle dei cristiani pro-occidentali. In realtà è stato impossibile mantenere questa
neutralità. Dopo la sconfitta degli eserciti arabi nel 1967, i gruppi di resistenza
palestinesi si sono sempre impegnati a misurarsi in confronti militari diretti con
Israele. Le risposte di Israele sono state sempre più brutali. [62] Questo circolo
vizioso ha fatto infuriare l’ establishment libanese, che ha cercato di ridurre l’attività
palestinese con l’accordo del Cairo del 1969. Progettato per limitare l’attività
organizzativa e militare palestinese a sud del Libano, l’Accordo rimase una lettera
morta e un testamento alla perpetua debolezza del Stato libanese. Gli attacchi contro
l’Israele da parte dell’APP sono continuati, spingendo la rappresaglia israeliana che ha
reso possibile l’esplosione dei sentimenti anti-palestinesi tra i partiti di destra
(soprattutto cristiano-maroniti) come il fascista Kataeb.
Alla fine degli anni Sessanta c’è stata anche un forte aumento della militanza della
classe operaia e delle proteste di massa degli studenti che hanno alimentato la
crescita della sinistra radicale. Gli scontri tra l’OLP e le milizie cristiane sono diventate
sempre più comuni, dato che i partiti di destra chiedevano l’espulsione delle milizie
palestinesi. Nell’aprile del 1975 queste sconfitte si trasformarono in una guerra allout, dopo che il Fronte Popolare per la Liberazione di Palestina fece un tentativo di
assassinio fallito del leader dei fascisti. Il Kataeb ha replicato sparando su un autobus
di civili palestinesi, uccidendone 27. Battaglie di strada sono esplose in tutta Beirut e
la guerra era iniziata.
Due campi distinti si sono uniti e più o meno tenuti insieme attraverso il caos della
guerra. Da un lato c’era il blocco dei patriarchi cristiani conservatori alleati
all’Occidente. Guidato da Pierre Jumayyil, leader del partito Kataeb, questo campo ha
sviluppato il carattere razzista e culturale “fenicio…” del Libano in opposizione alle
nazioni arabe e musulmane che lo circondavano. Lottavano per preservare il sistema
statale settario, i loro privilegi socioeconomici e lo status-quo geopolitico.
L’opposizione – era raggruppata intorno al Movimento Nazionale Libanese. Era
l’alleanza sconfitta dei partiti di sinistra dei Druzi, Shia, sunniti e i non-settari,
raggruppati sotto la guida dell’eclettico nazionalista Kamal Jumblatt sempre coerente
in opposizione al confessionalismo – intesa come dominanza cristiana – ma ha anche
affrontato questioni di redistribuzione della ricchezza, dell’arabismo e dell’antisionismo per ottenere una risposta di massa[63]. Contestato dal sistema politico e
sotto assedio dalle milizie cristiane extraparlamentari, l’OLP era naturalmente attratto
da un simile movimento, dandone l’appoggio e la legittimità alla sua opposizione [64].
In pochi mesi queste forze radicali erano vicine alla vittoria totale. La prima fase della
guerra ha visto la sinistra raggiungere vittorie schiaccianti in tutto il paese. Il territorio
sotto il loro controllo comprendeva le fortezze OLP/ LNM a sud, le montagne
circostanti Beirut e il Nord Sunnita. Anche la valle Bekaa, con la sua popolazione
cristiana significativa, era a rischio.
La Siria interviene
Le forze siriane hanno sempre avuto una forte influenza nella politica libanese. Questo
risale all’impero ottomano, quando le due nazioni facevano parte dello stesso blocco
amministrativo che comprendeva anche la Giordania e gran parte della Palestina. [65]
Anche dopo la nascita del Libano nel 1920, le elite siriane insistevano sulle loro
connessioni storiche e intervenivano regolarmente nei suoi affari interni. Questo
modello è continuato nella fase del potere di Assad, fino a oggi. Naturalmente, questo
non era motivato dalla nostalgia per l’unità araba, ma dai vantaggi geostrategici che si
ottenevano dallo stato più debole: un’abbondante approvvigionamento idrico, più porti
mediterranei, istituzioni finanziarie forti e un confine lungo e relativamente poroso con
Israele.
Il successo della sinistra nei primi giorni della guerra civile libanese causò ad Assad
molta angustia. Anche se la Siria aveva continuato a fornire un sostegno militare alle
milizie palestinesi e al LNM, nel corso del 1975, mentre sollecitava cautela le tensioni
tra di loro si accentuarono:
“Un’azione militare decisiva [di Jumblatt] … aprirà le porte ad ogni intervento
straniero, in particolare quello di Israele. Vediamo l’enormità della tragedia che
potrebbe derivare se Israele dovesse intervenire per salvare alcuni arabi [maroniti] da
altri arabi [LNM]”. [66]
Galvanizzato e vicino a diventare il primo leader non cristiano di un Libano riformato,
Jumblatt non si faceva corrompere in alcun modo. Infatti rispose alle dichiarazioni di
Assad per i negoziati, con l’ annuncio di una “campagna militare totale e irreversibile”
contro i maroniti. [67] Pagherà per questa intransigenza con la sua stessa vita; verrà
assassinato dai siriani nel 1977. I palestinesi, anche durante questo periodo,
rifiutarono di accettare un accordo negoziato. Arafat sicuro che Assad “non avrebbe
permesso ad un fucile siriano di sparare sulle masse palestinesi”, confermò la sua
alleanza con il LNM e le sue mosse successive. [68]
Spaventato dalla prospettiva di instabilità sul fianco occidentale, Assad occupò il
Libano per schiacciare la sinistra e ripristinare l’ordine. Come qualsiasi membro dell’
auto-difesa della sua stessa classe capitalista, Assad temeva la prospettiva di un
cambiamento sociale rivoluzionario più di ogni altra cosa [69]. Quindi, quando il LNM
parlò della democrazia, Assad vide l’imprevedibilità politica. Dove i palestinesi videro
zone liberate per portare gli attacchi contro Israele, Assad vedeva il pretesto per le
invasioni israeliane. [70] Laddove la sinistra sosteneva una ristrutturazione economica
e politica della società libanese a favore degli strati più poveri, Assad si preoccupò che
la sua popolazione potesse avere le stesse idee. [71] Quindi Assad procedette a
frantumare i palestinesi, dominare la sinistra e conservare lo status quo.
Inizialmente timoroso di provocare una rappresaglia israeliana, Assad preferì utilizzare
unità provenienti dall’esercito palestinese di liberazione palestinese e da militari della
SAIQA (reparti d’assalto palestinesi schierati con il partito Ba’ath) per fare il suo
lavoro sporco. Ma come il conflitto si intensificò l’intero esercito siriano venne
coinvolto. Gli obiettivi erano chiari fin dall’inizio. Ha cercato di rafforzare i maroniti,
schiacciare le milizie palestinesi e imporre un compromesso su un’opposizione
indebolita. Questo richiedeva una brutalità estrema. Il culmine ha visto i militari siriani
collaborare con le milizie cristiane nel massacro di circa 2.000 miliziani palestinesi nel
campo profughi Tal al-Za’tar. Tuttavia Assad continuava a razionalizzare le sue azioni
come manovre preventive o difensive contro l’aggressione israeliana, sostenendo che
“una grande cospirazione è stata sollevata contro la nazione araba … i nostri fratelli
della direzione palestinese … sono i suoi obiettivi principali” [72]. Altrove ha sostenuto
che “non avevamo altra scelta … se non intervenire direttamente … e salvare la
resistenza [palestinese]” [73]. Sebbene la resistenza del LNM e delle milizie
palestinesi di sinistra (come il Fronte popolare per la liberazione della Palestina) fosse
strenua, non poteva sconfiggere l’esercito siriano ben equipaggiato, soprattutto dopo
che Arafat fece un accordo con Assad e tolse le sue forze chiave dai combattimenti in
atto. L’intervento spostò l’equilibrio delle forze a favore di coloro che difendono il
status-quo confessionale.
Non solo l’occupazione del Libano da parte di Siria segnò una rottura decisiva con
l’OLP e il LNM, ma portò la collaborazione diretta con Israele. Questo prese la forma di
un infame “linea rossa” tra la Siria, Israele e gli Stati Uniti. Tutte le parti convennero
sulla necessità di difendere il privilegio maronita e Kissinger, riuscì perfino a
convincere gli israeliani che i siriani erano nella posizione migliore per poterlo fare.
Felice di avere il sostegno statunitense, Assad era disposto ad accettare le condizioni
israeliane – in particolare quella che stabiliva che il fiume Litani fosse una “linea rossa”
al di sotto della quale le truppe siriane non avrebbero potuto avventurarsi. [74]
La guerra civile libanese continuò per altri 14 anni dopo questi eventi. La Siria cambiò
posizione parecchie volte, e alla fine si scontrò direttamente con gli israeliani che
invasero il Libano nel 1982. In generale, la strategia di Assad era di allearsi con
chiunque fosse favorito dalla sorte della guerra per il mantenimento di un equilibrio di
potere. Non solo la trasformazione sociale venne bloccata, ma il settarismo si insediò
per generazioni e l’OLP venne cacciato dal paese. Assad aveva raggiunto i suoi
obiettivi, assicurando il potere della Siria come il “costruttore di Re” della politica
libanese.
Assad e Sadat – stessi principi, realtà divergenti
Quei sostenitori del regime siriano che hanno ancora qualche legame con la realtà
talvolta ammettono e riconoscere che la Siria ha realizzato un opposizione limitata e
incoerente contro gli Stati Uniti ed Israele.
Ma indicando il destino del regime egiziano, sostengono che una certa resistenza è
miglio di nessuna. Dato che gli Stati Uniti hanno insistito per anni che i Ba’athisti
dovessero restare al potere in Siria, una semplice risposta è che questa cosiddetta
resistenza non può essere molto significativa [75]. Tuttavia è utile spiegare perché la
posizione retorica e l’allineamento geopolitico del regime siriano sono rimasti contro
l’imperialismo occidentale limitatamente.
È utile come inizio analizzare come e perché l’esercito egiziano sia stato in grado di
passare così con successo dall’antisionismo di Nasser, all’offerta di pace del 1979.
Sadat ha goduto di una serie di vantaggi derivanti dalla posizione primaria dell’Egitto
nel mondo arabo. Come leader dello stato con la più numerosa popolazione e un
esercito considerevole, Sadat aveva una significativa leva diplomatica. Così, in cambio
di un trattato di pace, era in grado di negoziare il pieno ritorno del deserto del Sinai,
occupato dall’Israele dopo la guerra di ottobre. L’Egitto ha anche potuto forgiare
legami bilaterali estremamente stretti con il governo degli Stati Uniti e i suoi alleati
sauditi, che hanno portato ad enormi quantità di aiuti militari ed economici a partire
dal 1974. [76] Questo ha permesso a Sadat di migliorare gli aspetti peggiori della
neoliberalizzazione dell’economia nella fase critica precoce della transizione. Ad un
livello ideologico, Sadat ha potuto attingere alla storia egiziana pre-araba per
riorientare il nazionalismo egiziano in una direzione isolazionista. Questo è stato
simboleggiato cambiando la bandiera nazionale per sostituire le due stelle che
rappresentavano l’unità con la Siria con l’aquila faraonica. [77] Infine Sadat ha fatto
un tentativo iniziale di grande successo per acquistare la più grande fonte di
opposizione al regime militare, gli islamisti. Ciò è avvenuto migliorando lo status di Al
Azhar – la principale università islamica in Egitto – nonché alcuni cambiamenti verso
un quadro giuridico ispirato alla sharia. Sadat stesso adottò un comportamento più
religioso, pubblicamente pregando e adottando una più retorica in stile islamista.
Nonostante questo suo rivolgersi a Dio, Sadat è stato assassinato da uno dei gruppi
più radicali islamici che avevano resistito alle sue aperture. Pochi hanno sparso le
lacrime per lui.
Viceversa il regime siriano mancava di tutte queste risorse. I siriani erano ben lontani
dall’essere una potenza militare, e le alture del Golan erano più strategiche e più facili
da difendere per Israele rispetto al deserto del Sinai. Dalla prospettiva israeliana e
americana questi fattori hanno reso i negoziati ridondanti ed hanno ignorato i tanti
gesti concilianti che Assad ha mandato in questa direzione. Tutto ciò ha fatto in modo
che la continuità dell’alleanza con la Russia e poi con l’Iran, fosse assolutamente
necessaria per la sopravvivenza del regime.
La Siria ha anche sofferto della sua natura di stato con poche radici storiche. I
Ba’athisti ereditavano una nazione solo di nome comprensiva unicamente di una serie
di province precedentemente autonome. Il nazionalismo siriano è sempre stato
relativamente debole, la sua identità si è fondamentalmente legata alle sue relazioni
con la più ampia comunità araba e quindi alla lotta per la liberazione della Palestina.
[78] Questo ha reso politicamente difficile abbandonare apertamente la lotta contro il
sionismo.
La posizione antimperialista del regime era anche cruciale nella lotta contro la
crescente opposizione islamista sunnita attraverso la fine degli anni ’70 e gli anni ’80.
Sebbene Assad si fosse genuflesso nei confronti dei principi islamici, come capo di un
governo settario alavito, esisteva un limite evidente della sua capacità di relazionarsi
con la popolazione sunnita su base religiosa. [79] Una risposta è stata quella di
sottolineare l’innegabile natura settoriale dell’opposizione islamica e la necessità di un
stato forte per proteggere le minoranze.
Ma quando il governo ha voluto giustificare l’eliminazione di massa della Fratellanza
Musulmana, ha anche affermato come la stessa Fratellanza fosse un’organizzazione
pro-sionista e filo occidentale. [80]
Il fattore finale che ha reso più difficile la stessa capitolazione accaduta per Sadat è
stata la pressione dei suoi rivali regionali, in particolare l’Iraq di Saddam Hussein. A
parte un breve periodo di intese nel 1979, quando i due regimi si unirono contro
l’accordo di Sadat con Israele, il Ba’ath siriano e iracheno erano contrapposti. Saddam
ripetutamente e cinicamente ha attaccato la Siria per il suo fallimento contro lo stato
sionista, beneficiando della lontananza strategica irakena da Israele e in più non l’ ha
aiutata in alcun modo significativo in questo senso.
Trattato con ostilità e indifferenza da parte di Israele e dagli Stati Uniti, cercando di
mantenere il controllo su una nazione divisa e pressata cinicamente dai suoi rivali
regionali, Assad non aveva quindi alcuna capacità o incentivi per colpire
pubblicamente il nazionalismo arabo e l’idea di “resistenza”.
Questa decisione pragmatica di mantenere un certo discorso di ostilità e un certo
allineamento geopolitico non deve essere confuso con una sincera solidarietà per i
palestinesi o chiunque altro. Come Hafez al-Assad ha spiegato ad Henry Kissinger, “la
difficoltà è che il popolo siriano che si è nutrito da ventisei anni di odio [per Israele],
non può vacillare durante la notte per i nostri cambiamenti” [81].

Conclusione
Eventi come la rivoluzione siriana sono importanti test per la sinistra a livello
internazionale. Mentre non possono essere l’unico fattore determinante del nostro
programma e delle tattiche, la capacità di riconoscere e sostenere le rivoluzioni
popolari è una caratteristica cruciale dei principi di un movimento socialista. Su questa
prospettiva, la storia contenuta in questo articolo dovrebbe essere superflua.
Purtroppo il fantasma dello stalinismo continua a perseguitare la sinistra. Quindi,
speriamo che i fatti e le argomentazioni in questo scritto possano essere utili per
rispondere alla propaganda a favore dell’attuale regime.
Nel frattempo, gli eroi di Aleppo e di altre città rivoluzionarie in Siria continuano a
combattere per la libertà, confrontandosi con le bombe russe e l’indifferenza
occidentale. Che vincano o perdano, non saranno mai dimenticati.

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[2]Hinnebusch 1993, p245. [3]Hinnebusch 1993, p4. [4]Ma’oz 1988, pp14-15. [5]Hinnebusch 1993, p244. [6]Dam 1996, p5. For more see Ma’oz 1973, p29. [7]Beinin 2001, pp114-132. [8]Batatu 2004, p900. [9]Dusen 1972.
[10] George 2003, p68.
[11] Aulas 1988, p137; for more on this in the Syrian context see Halpern 1970, pp51-78. For a more general
theoretical account of the social, cultural and political characteristics of the middle classes nothing surpasses
Draper 1978.
[12]Ayubi 1996, pp196-203. [13]Beinin 2001, p13-20.
[14]Ayubi 1996 pp205-206. For a discussion of the Egyptian equivalent see Alexander 2006. [15]Rabinovich 1972.
[16]Hinnebusch 1990, pp134-5.
[17]Ma’oz 1988, p37.
[18]Olson 1982, p115. [19]Beinin 2001, p136; Ayubi 1996, p217. [20]Leca 1988, p190; Hinnebusch 1990, pp144-145.
[21]For more information about this period see Kerr 1973. [22]Leca 1988, pp183-192. [23]Perthes 1998, p110.
[24]Hinnebusch 1993, p252.
[25]Batatu 1999, p208. In the context of the current revolution see Nasr 2012. [26]Perthes 1998, p142.
[27]Leca 1988, p150. [28]Ayubi 1988, p134. [29]Ayubi 1996, p357.
[30]Seale 1990, p171.
[31]O’Donnell 1977, p68.
[32] Oakley 2011, p39.
[33]Ayubi 1996, p189. [34]O’Donnell 1977, p49. [35]Firro 1986, p44.
[36]Perthes 1998, pp42-45. [37]Perthes 1998, p34.
[38]Firro 1986, p62.
[39]Perthes 1998, p109. [40]Perthes 1998, p108. [41]Perthes 1998, p117.
[42]Perthes 1998, p105. [43]George 2003, pp165-166.
[44]Ayubi 1996, p217.
[45]Hinnebusch, R. 1990, p. 135. [46]Talhami, G. H. 2001, pp. 78-79, 86. [47]Ma’oz 1988, p37.
[48]Olson 1982, p115; Ajami 1976; Kerr 1973, pp695-697. [49]Seale 1990, p348.
[50]Seale 1990, p147.
[51]Drysdale and Hinnebusch 1991, pp105-106. [52]The Insight Team 1974, p73.
[53]Seale 1990, p197. [54]Sela 1998, p141. [55]The Insight Team 1974, p488.
[56]Seale 1990, pp221-224. [57]Seale 1990, pp250-252.
[58]Petran 1989, pp28-32.
[59] Chamie 1976, pp178-180. A word of caution: it was never the case that all Christians were wealthy, or all
Muslims poor, and wealthy Christians often helped form and lead progressive parties.
[60]Krayem 1997, p412.
[61]Chamie 1976, p173; Qubain 1961, pp170-171.
[62]Fisk 1990, pp74-75. [63]Rabil 2003, p49.
[64]Rabil 2003, pp46-50.
[65]Salibi 1990, pp19-37. [66]Salibi 1990, p105. [67]Khalidi 1979, p55.
[68]Avi-Ran 1991.
[69]Dawisha 1980, p109.
[70]Talhami 2001, p115. [71]Dawisha 1980, pp102-106; Olson 1982, pp152-153.
[72]Seale 1990, p283. [73]Ma’oz 1988, p127.
[74]Rabil 2003, p52. [75]Patrick Reevell, “US Not Seeking ‘Regime Change’ in Syria, John Kerry Says After Meeting With
Russian President”, http://abcnews.go.com/International/john-kerry-meets-russian-president-vladimirputin-seek/story?id=35782171, 15 December 2015.
[76]USA International Development 2011.
[77] Aulas 1988, p148. This shift drew on pre-existing isolationist tendencies within Egypt; for more on this see
Gershoni and Janjokowski 1986.
[78]Ma’oz 1986, p12-17; Hinnebusch 1990, p304.
[79]Dam 1996, p95. [80]Hinnebusch 1990, p298. [81]Kissinger 1982, p1087.